Eccoci di nuovo on-line con il terzo appuntamento di questa rubrica dedicata alla bici da Trial in versione Vintage.
Dopo aver scritto di quella macchina da gara insita in Marco Monateri, volevo regalarvi una personalità che rispecchiasse l’altra faccia della medaglia: qualcuno che potesse dare l’idea della carica emotiva che si viveva in quegli anni nell’affacciarsi a uno sport in piena fase di nascita, qualcuno che vi facesse capire, attraverso le sue personali emozioni, cosa significasse ritrovarsi tra le mani una delle prime bici da Trial e partecipare poi alle prime gare.
Questo qualcuno è un ragazzo della provincia di Bergamo, anno di nascita 1970, quindi uno che davvero ha visto nascere questo sport sin dal primo evento, ma soprattutto uno che ha contribuito personalmente nell’impedire che sparisse totalmente dal nostro amato stivalone. Lui è il “tuttologo” del Trial in bici in Italia, semplicemente perché è stato…tutto!: atleta, giudice, organizzatore e sul finire della sua carriera anche Delegato Nazionale BIU. Lui è Mauro Moioli e questa è la nostra chiacchierata:
_ Ciao Mauro, ben tornato! Allora, partiamo dall’inizio, ti va di raccontarci i tuoi primi passi nel mondo del Trialsin, come ti sei avvicinato a questo sport e da dove hai iniziato per imparare?
Dunque i primi passi nel Trialsin o BMT, chiamalo come vuoi, li feci nel 1982. La passione è nata vedendo sulla rivista “Motocross” le immagini delle prime esibizioni di Andreu Codina, pilota ufficiale Montesa che allora guidava la mitica T-10, la prima bici da Trial in assoluto nella storia. Non avendo nient’altro da cui prendere spunto, con degli amici del paese iniziammo a sperimentare qualcosa usando delle bici normalissime, il più delle volte si cercando di imitare ciò che vedevamo fare da chi andava in moto da Trial, che tempi.
La mia prima bici da Trial è stata una Fantic: 15 kg di puro acciaio, ma il peso non era così importante per me, lo era molto di più guidare una vera Trialsin: era un sogno che si realizzava.
_ Arrivarono poi le gare e la carriera agonistica: quali tipi di campionati hai vissuto, in che anni, con che bici?
Si grazie a mio padre nel 1983 presi parte alla mia prima gara ufficiale di Trialsin a Melegnano, poi nel 1984 partecipai al Campionato Italiano con risultati piuttosto mediocri, a parte nell’ultima prova a Lazzate, dove mi piazzai decimo prendendo un punto.
L’anno dopo, visti gli oltre 100 partenti, decisero di dividere la categoria Expert in A e B, che era praticamente la Elite di oggi e io grazie a quel punto entrai a farne parte. Era il 1985 e le cose si erano fatte serie davvero, le zone erano dure per me, ma non mollai. Credo fu l’anno con maggiori partecipanti in assoluto, visto che di fatto esistevano praticamente due Campionati Italiani in parallelo: lo junior con varie categorie divise in fasce d’età e l’expert che era un campionato riservato ai punteggiati dell’anno prima. Fu però cosa breve perché dal 1986 si ritornò a fare un Campionato unico fino al 1989, anno in cui, visto lo scarso numero di partenti la Federazione decise di abbandonare questo sport, segnando di fatto la fine del Campionato Italiano Trialsin per sempre.
Per quanto riguarda le bici che ho usato, beh la lista è lunga. Come detto prima ho iniziato con la Fantic, poi ho avuto una Monty T19, poi la T19 aero, poi la T219, poi sono entrato in Silverstar per un po’ e poi il periodo Trialsin per me si è chiuso con la T219 con i primi Magura idraulici.
_ Di queste esperienze, sicuramente conserverai gelosamente un sacco di bei ricordi: qual è stato il momento apice, quello che ti ha dato più soddisfazione e che ancora oggi ti rende orgoglioso?
Sicuramente l’esperienza che ricordo con maggiore gioia è il secondo posto nella prima prova del Campionato del Mondo del 1989 ad Avia in Spagna, dove, attenzione attenzione, il podio fu tutto Italiano: primo Luca Monateri, secondo io e terzo Enrico Guala!!!
_ Mi parli un po’ dell’ambiente di quel Trialsin anni 80? Che aria tirava, quali erano i vostri stimoli, i vostri miti, i vostri obbiettivi o sogni. Come lo vivevi tu questo sport?
Diciamo che in quel periodo c’era molto ottimismo, l’ambiente era molto gioviale sebbene poi in gara eravamo tutti molto agguerriti, ma finita quella, si ritornava a ridere e scherzare.
Il mito di quel periodo era Thierry Girard, pilota ufficiale Torpado, che viaggiava su un’altro pianeta e a quei tempi non aveva avversari.
Dal canto mio io ho sempre vissuto questo sport come un sogno realizzato. Forse oggi non è facile comprendere, perché oramai siamo abituati ad un mondo globale, con internet riusciamo a sapere tutto ed avere in poco tempo ciò che desideriamo, mentre quando io ero piccolo le notizie arrivavano molto più lentamente e di conseguenza anche tutto il resto. Così io vedevo quelli del Trial in moto, che mi piaceva imitare, con appunto delle bici normalissime come dicevo prima, per cui capirete che quando mi è giunse finalmente notizia che in qualche modo di quel mio “giocare” ne avevano fatto uno sport vero e proprio, ero felicissimo e determinato a praticarlo, per non parlare poi di quando è arrivata la mia prima Fantic, non ci potevo credere, era il massimo per me. E’ stato come regalarmi un sogno, davvero. Bellissimo.
_ Come vedi il BikeTrial oggi? Cosa trovi di diverso che ti piace e cosa invece non ti piace?
Beh negli anni c’è stata una continua evoluzione, soprattutto per le bici che oggi sono super leggere e hanno tutte dei freni che funzionano in ogni condizione: voi non potete capire cosa fossero i freni delle prime bici da Trial! Poi, per esempio, si è passati da 15 kg ai 7kg circa di oggi, abbattendo di fatto la metà del peso, una cosa incredibile!! Di conseguenza la guida e gli ostacoli sono cambiati e gli stessi piloti hanno avuto una progressione atletica smisurata. Oggi è uno sport che richiede professionismo a tutti gli effetti, è una disciplina dove per arrivare in alto bisogna essere atleticamente preparati sotto diversi aspetti. Una volta forse, questi aspetti da curare erano numericamente minori ma, come si capisce, era tutto rapportato ai mezzi e alle difficoltà che senz’altro erano nettamente diverse. Stiamo parlando comunque di un arco di tempo di 30 anni e di cose ne sono cambiate parecchie. Ad esempio forse non tutti sanno che nel regolamento del primo Trialsin, non esisteva la penalizzazione del tempo, i famosi due minuti per zona per capirci, non c’erano. Ora invece questo aspetto è diventato una costante di primaria importanza e fa molta differenza.
Oggi come oggi, per quanto mi riguarda, mi piacciono tutte e due le versioni di questo sport, ovviamente io sono cresciuto con il Trialsin e quando vedo vecchi filmati o immagini provo una certa nostalgia, che ci volete fare.
_ Allenamento e preparazione tecnica e fisica, sono due aspetti molto importanti nel BikeTrial di oggi, ci fai un analisi di questi aspetti rapportati al Trialsin?
Anche allora l’allenamento era molto importante, solo andava a valorizzare aspetti diversi a quelli che si tende a prendere in considerazione oggi. Dal punto di vista fisico, non essendoci il tempo in zona, potevi stare anche 15 minuti dentro, di conseguenza trovavi zone molto lunghe, quindi si lavorava sulla resistenza spalmata su un lungo periodo diciamo, curando il più possibile l’aspetto equilibrio. Oggi invece si lavora su un lasso di tempo corto, molto corto: 2 minuti, percui per un pilota è diventato importante curare resistenza e gestione della sforzo esplosivo nei 2 minuti della zona. Oggi c’è molto più esplosività nel nostro sport, nel Trialsin si lavorava e valorizzava molto di più l’aspetto “equilibrio” invece. Tecnicamente parlando, nel Trialsin l’ostacolo alto veniva sempre affrontato in frontale, non si utilizzava mai il laterale, che invece nel BikeTrial di oggi, non solo è molto usato, ma molte volte è preferito al frontale da molti atleti. Oppure per fare un esempio ancora più banale per come siamo abituati oggi, nel Trialsin si palleggiava molto meno sulla ruota dietro, mentre oggi questa tecnica rientra quasi nelle “basi” per poter praticare. Quindi insomma gli allenamenti andavano a migliorare diciamo aspetti diversi, rapportati ad un regolamento, ad una richiesta atletica e ad una gamma di tecniche semplicemente diversa.
_ Dopo il periodo di crisi di questo sport negli anni 90, abbiamo visto rinascere il BikeTrial in Italia. Tu sei uno dei promotori di questa rinascita, qual è stata la cosa più difficile da fare?
Allora come ho accennato prima, nel 1989 si chiuse l’ultimo Campionato Italiano Trialsin, poi fino al 2002 non si fece praticamente più nulla di ufficializzato da una Federazione. Nel frattempo io e Luca Monateri, aiutati dal padre di Andrea Oddone, iniziammo a organizzare qualche ritrovo in Emilia, Lombardia e Liguria, dando vita a delle gare un po’ a sé stanti diciamo, fino ad arrivare ad una specie di bozza di “Campionato Italiano” a Chiuduno, chiamiamolo così. Nel 2003, conobbi Massimo Iacoponi, il quale portò per prima cosa UISP a interessarsi di noi e poi grazie al grande supporto da parte dei genitori di vari ragazzi, di altre persone che si prestarono a fare da giudici e ovviamente a vari atleti che si presero la responsabilità di organizzare le varie gare, si riparti con un Campionato Italiano ufficiale! Ecco in tutto questo, ti dirò col senno di poi, che la voglia di ripartire era così forte che non ricordo altro che quella: diciamo che più che grosse difficoltà mi ricordo grosse soddisfazioni.
_ Mauro sei uno dei personaggi più multifunzionali del nostro sport: hai iniziato da zero, sei diventato un buon atleta, poi un organizzatore e poi Delegato Nazionale BIU. Per il movimento italiano sei stato parte di quella trasformazione da Trialsin a BikeTrial. Poi hai messo da parte tutto, cos’è successo? Perché hai preso questa decisione?
Grazie per i complimenti, beh ho lasciato perchè un po’ il lavoro un po’ la famiglia il tempo era sempe meno, ma anche se non ho più frequentato l’ambiente gare di persona, mi tengo informato sul sito, su gare classifiche e news. Certo però ho lasciato in buone mani questo sport, mani che hanno lavorato così bene da guadagnarsi l’ onere e l’onore di organizzare anche prove di Campionato del Mondo. L’ultima tappa del Mondiale in Italia fu all’idroscalo a Milano e correva l’anno 1989.
Per quanto mi riguarda comunque la strada è stata lunga, ma piena di bei ricordi e sono contento di aver contribuito in parte alla rinascita in Italia di uno sport eccezionale.
_ Oggi però so che hai ripreso a stare sui pedali e che recentemente sei stato al “BikeTrial Legends” a Barcellona. Cos’è e ovviamente dicci com’è andata?
Grazie ad un’amico collezionista di bici da Trialsin, Luca Cena, abbiamo deciso di provare a partecipare a questo circuito di gare: erano anni che non mi divertivo così, complimenti agli spagnoli che hanno creato questo campionato “vintage” in 4 prove, con regolamento Trialsin (senza tempo) con 3 livelli di difficoltà e categorie divise in età del pilota e del mezzo.
La gara di Barcellona è stata un successo: 20 zone con traserimento di circa 8 km, ma la cosa che mi ha stupito di più è stato è il numero di partenti: 100!! Parliamo di bici “vintage” quindi numero davvero sorprendente che assolutamente non mi aspettavo di vedere. Io ho gareggiato con la mia mitica Silverstar restaurata e sono arrivato terzo battendo un certo Pep Ribeira (Campione del Mondo nel 1989), cosa volere di più?
Se qualcuno volesse sapere di più esistono questi siti www.biketriallegends.com e www.trialsin.es.
_ Bene Mauro siamo alla domanda dei saluti, non prima però di un doveroso grazie per tutto il tuo operato, ma anche per averci dedicato un po’ del tuo tempo oggi. L’ultima domanda è: motiva in dieci parole un ragazzino a fare questo sport.
Ad un ragazzino che comincia ora posso semplicemente dire che il Biketrial è uno sport fantastico,sicuramente duro, ma forma equilibrio fisico e mentale e anche il carattere, quindi se non mollerete alle prime difficoltà, saprà ripagarvi con tante belle soddisfazioni.
Bene dai è stato un piacere ed un onore fare questa chiacchierata, grazie a tutti e a biketrial italia che mi ha dato questo spazio per raccontare un po’ di me e delle origini.
Ciao a tutti e viva il trialsin e viva il biketrial!!!
Ecco queste sono le parole di un ragazzo che sin da bambino è stato mosso da un’irrefrenabile passione e che ancora oggi non ce la fa a staccarsene del tutto da questo sport. Ci ha regalato nuove informazioni tecniche e molte considerazioni che hanno scavato un po’ più a fondo su quel che sono stati i primi anni di questo bellissimo sport. Ne è emersa una fotografia comune per certi aspetti a quelle di Luca e Marco, ma ha messo in luce molti aspetti, molte differenze con il Biketrial di oggi. Curioso per esempio sapere che in zona ci potevi stare anche 15 minuti e nessuno avrebbe reclamato nulla, tantomeno il giudice si sarebbe messo a fare il conto alla rovescia degli ultimi 10/20 secondi!!! Curioso sapere che il “laterale” praticamente non esisteva e che le bici pesavano di norma intorno ai 15kg, che l’aspetto tecnico che faceva la differenza non era l’esplosività, l’ostacolo, ma la capacità di guida e l’equilibrio. In questo forse, risiedeva il punto di maggiore connessione con il Trial motociclistico di allora, ecco spiegato perché la maggior parte delle persone vedevano il Trialsin come un “allenamento” alla moto da Trial.
Mauro ci ha portato anche testimonianza breve di cosa è stato “il periodo di buio” (come lo chiamo personalmente) protagonista dei primi anni 90 dove si perse una centralità di manovra: il timone era rotto, ma la passione no.
Grazie a quel gruppo di ragazzi, oggi siamo qui a scrivere ancora nuove pagine di questo meraviglioso sport e a curiosare nella storia e nella testa di quei “pionieri” del BikeTrial.
Vi lascio così, un po’ pensanti e mi auguro un po’ sognanti come Mauro e vi do appuntamento a rimanere connessi per la nostra quarta puntata.
- Andrea Marchi -